Sono stato con i comunisti, con gli anarchici, con gli artisti, con gli atei, con i credenti. Sono stato con quelli che stanno al bar di giorno e con quelli che stanno nei locali di notte. Sono stato con quelli del nord, con quelli del centro, con quelli del sud. Sono stato con quelli che vivono in paese e con quelli che vivono nella grande città. Sono stato con i ricchi e con i poveri. Sono stato con i giovani, con i coetanei e con i vecchi. Ed ora so che non c’è categoria o credo o condizione che salvi automaticamente le persone. Ognuno di questi mondi contiene tutto e il contrario di tutto.
Fu così che indossai gli abiti del funambolo, mi buttai addosso una manciata di paillettes e lustrini, tirai la fune e ci montai sopra.
Vivo da tanto tempo in un continuo disequilibrio. Vivo sul filo del dubbio, faccio scelte sul filo del rasoio, penso sul filo del ragionamento, parlo sul filo del discorso. Non è comodo. Spesso fa paura. A volte avresti una voglia matta di scendere e riposarti. Ma se durante la vita ti capita di vedere determinate cose, purtroppo o per fortuna, non ci sarà più riposo.
Non penso esista periodo peggiore per un funambolo di quello che stiamo vivendo. Periodo di “o stai di qua o stai di là”, periodo di “scegli da che parte stare”, periodo in cui il pensiero è stato fatto a pezzi, periodo di schiera-menti, periodo di sistema binario applicato a tutto, periodo di tinte forti e addio alle sfumature, addio alle impercettibili vibrazioni del filo sul quale, in definitiva, tutti camminiamo. Periodo di guerra. E non solo di guerra letteralmente intesa, ma di guerra al posto del dialogo. Ogni argomento viene affrontato con le modalità tipiche della guerra. La guerra non è lontana da noi, è esattamente tra noi.
Tante volte mi sono detto “devi prendere posizione!” Ci ho provato. Non riesco. Ho giurato fedeltà al filo, accada quel che accada. E se dovrà accadere che io cada, beh… speriamo almeno che il volo sia piacevole alla vista degli astanti. Non prendo posizione perché non c’è posizione che ti salvi. Perché ogni posizione contiene contemporaneamente verità e menzogna. Perché ogni posizione è costituzionalmente fallace. Tanto più se viene spacciata per verità assoluta.
Assoluto [agg. e s.m. Der. del part. pass. absolutus del lat. absolvere, comp. di ab- e solvere “sciogliere”, e quindi “libero da limitazioni o condizioni”]
“Giammai la verità s’è appesa al braccio di un assolutista.”
Una frase che fende l’aria come una freccia. Una verità libera da limitazione e condizioni, semplicemente, non esiste. Siamo relazione. Siamo relativi. E tra i contrari della parola “assoluto” c’è, appunto, la parola “relativo”.
Fino a un paio d’anni fa molti avrebbero condiviso parole del genere. Forse anche oggi. Ma a parole. Perché nei fatti non è così. Perché è arrivata la madre di tutte le paure: la paura della morte. E, subito dietro, sua figlia: la paura della povertà. E quando si fanno scendere in campo queste due regine della paura… non c’è relatività che tenga. Tant’è che si rompono le relazioni. E arrivano gli assolutismi. E arrivano i fanatismi. E arriva la fine del dialogo. E inizia la guerra. Da una parte dello schieramento c’è chi usa la parola “collettività” per camuffare il proprio egoismo e dall’altra c’è chi usa la parola “individuo” per camuffare il proprio egoismo.
Argomenti stanchi. Perché non c’è collettività senza individuo e non c’è individuo senza collettività. In definitiva: non c’è umanità senza relazione. E lo schieramento è esattamente la lama che recide la relazione. “Ma io sto dalla parte della verità!” Sì, per come tu intendi la verità stai dalla sua parte. Ma per come la intendo io, no. Ed io la intendo come relazione, come dialogo. Soprattutto la intendo come somma delle varie verità. Tu la intendi come un monolite inscalfibile, io come un mosaico preda delle intemperie. Tu la intendi come scalpello che incide leggi sulla pietra, io come dito che traccia segni sulla sabbia.
Il disequilibrio in cui vivo è una costante ricerca di equilibrio. Ma l’equilibrio non potrà mai essere raggiunto una volta per tutte. Se lo raggiungi significa che sei sceso a terra senza accorgertene. No, preferisco stare qui. Qui dove il minimo soffio di vento ti fa danzare e rischiare di cadere. Mi sembra che somigli molto di più alla vita di qualsiasi verità declamata.
Alcuni potrebbero pensare che io sia salito sul filo per scappare dalla vita, dalle responsabilità e blablabla. Il motivo per cui sono qui è esattamente il contrario. Sono salito per non scappare. Sono salito per stare più vicino possibile alla natura più intima dell’esistenza: la precarietà. Sono salito per scendere.
“Eh ma più assoluto di uno che cammina da solo su un filo non c’è niente!”
Già.
Infatti non cammino da solo.
